La calibrazione delle immagini astronomiche è uno dei passaggi chiave per ottenere un risultato di qualità, uno dei passaggi più importanti in questa fase è l'applicazione del flat field.

Durante i miei corsi di PixInsight in tutta Italia una domanda, non correlata con l'uso del software, ma di fondamentale importanza per la calibrazione delle immagini, è: a quanti ADU devo fare i FLAT?

La mia risposta è sempre ed invariabilmente: "se il tuo sensore è lineare, ed è molto difficile che non lo sia, non importa: l'efficacia del flat field non dipende dal livello di illuminazione".

L'inevitabile domanda successiva è: "Ma allora perché i miei flat non funzionano?"

La risposta ormai diventata proverbiale tra i miei studenti è: "Non lo so, ma considera che oltre il 90% dei problemi di flat non arrivano dai flat."

La mia sicurezza deriva dall'assoluta fiducia nella teoria di base della calibrazione delle immagini e dalla matematica che la descrive.

Se un flat è "fatto bene" DEVE funzionare! e tra i parametri che definiscono il "fatto bene" non figura il livello di illuminazione (almeno per quel che riguarda l'efficacia, diverso è l'influsso sul rumore, ma questo è un altro discorso).

Con tale convinzione mi sono apprestato a calibrare le mie ultime immagini astronomiche e, con grande disappunto, mi sono reso conto che i flat field non funzionava e rendeva le immagini inutilizzabili.

Non era mai successo prima e, sono sincero, ho avuto attimi di scoramento.

Poi ho pensato alla mia frase ricorrente e ho cominciato a pensare dove potesse essere il problema.

Affinché il flat funzioni è necessario che il sensore sia lineare: per fortuna avevo verificato la linearità della camera per scrivere il mio ultimo articolo.

Poi non devono essere presenti componenti additive: questa è la causa primaria dei flat che non funzionano.

Il flat, infatti, deve contenere esclusivamente una "mappa" che indica quale percentuale di luce viene assorbinta dal treno ottico (per esempio a causa della vignettatura o della polvere) e quindi esclusivamente componenti moltiplicative; con "componenti additive" si intendono strutture e contributi all'immagine che si aggiungono luce ai pixel, indipendentemente dalla struttura moltiplicativa.

Per esempio, basta un raccordo non ben annerito, troppo lucido, o un diaframma mal posizionato o, più frequentemente,un'infiltrazione di luce esterna e il flat non funziona più bene.

Sapendolo però avevo cercato di curare bene tutto il treno ottico.

Altro requisito fondamentale è che tutto il treno ottico non cambi tra l'acquisizione dei flat e quella delle immagini vere e proprie: stesso punto di fuoco, stessa rotazione ecc.

Ed ecco che mi si accende una lampadina: con la mia vecchia SBIG ST-2000 XM non avevo mai avuto problemi a calibrare le immagini.

Ora però la nuova Moravian 16200 pesa il triplo, ha un campo molto più grande ed è tenuta in posizione da un "naso" da 2" mantenuto fermo dal classico sistema ad anello di ottone con vitina singola.

Potrebbe esserci una flessione nel treno ottico?

I flat sono stati acquisiti col telescopio in verticale e la flatbox appoggiata al paraluce, le immagini invece sono state prese 30° sopra l'orizzonte col telescopio quasi in orizzontale.

A prima vista la camera sembrerebbe perfettamente rigida, ma bastano anche flessioni minime, soprattutto in sistemi molto vignettati come il mio.

Ed ecco allora l'idea: è noto che, calibrando un flat field con un altro flat field, si dovrebbe ottenere un'immagine perfettamente "piatta" e contenente esclusivamente rumore.

Questo, per esempio, è un ottimo modo per verificare l'indipendenza dagli ADU (ed indirettamente la linearità del vostro sensore).

Allora, per verificare la flessione del treno ottico, ho acquisito un flat con il telescopio in verticale (quella che utilizzo normalmente per la ripresa di questi importanti file di calibrazione), poi un secondo flat col telescopio in orizzontale mantenendo inalterate le altre condizioni (luminosità della flatbox, punto di fuoco e tempo di posa).

Ho quindi utilizzato il primo flat per calibrare il secondo (utilizzando dei bias come flat dark): se il telescopio è rigido allora dovrei ottenere un'immagine perfettamente omogenea e senza strutture, se invece ci fossero delle flessioni significative (anche se invisibili ad occhio nudo) l'immagine finale conterrà delle disomogeneità.

Ed ecco il risultato dell'esperimento, evidentemente il mio sistema ottico non è così rigido come sembra.

Flat VsuO


Io vi ricordo solo una cosa: se mai avrete problemi coi flat, non cercate la soluzione nei flat, quasi sempre sarà da un'altra parte.

 
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