Come astrofotografo di città, una città della Pianura Padana, territorio che soffre di un grado di inquinamento luminoso tra i peggiori in Europa, il mio primo obiettivo è sempre stato quello di trovare cieli limpidi e bui da cui scattare le mia immagini.

Un cielo buio ed incontaminato rende tutto più facile: le immagini risultano facili da elaborare, si riescono ad ottenere oggetti più deboli in minor tempo e quindi, in generale, la qualità delle immagini è decisamente superiore.

Per queste ragioni ho sempre considerato le riprese fatte da casa come semplici prove per mettere a punto la strumentazione e il flusso di lavoro, al massimo ho sempre e solo considerato come fattibili le riprese con filtri in banda stretta, che riducono moltissimo l'impatto dell'inquinamento luminoso.

Purtroppo le riprese dalla montagna hanno anche alcuni difetti non trascurabili: innanzi tutto è necessario spostarsi da casa, a volte percorrendo centinaia di chilometri per raggiungere la meta designata, portando con se decine se non centinaia di kg di attrezzatura che va montata e calibrata sul posto e, a fine nottata, bisogna smontare il campo e rientrare "alla base".

Inoltre il numero di sere utili è estremamente ristretto, limitato alle notti di Luna nuova, serene e nel weekend: una manciata all'anno se va bene.

Ed ecco quindi farsi largo l'idea di rendere la fotografia dagli inquinati cieli Lombardi qualche cosa di più strutturale ed organizzata rispetto al fare dei semplici test: avendo la possibilità piazzare il telescopio in giardino o, addirittura, potendo disporre di una postazione fissa, il numero di notti utilizzabili aumenta notevolmente.

Una cosa però deve essere ben chiara dall'inizio: nessuna tecnica elaborativa o tecnologia di ripresa può, in alcun modo, colmare il divario che esiste tra un cielo buio ed uno rovinato dall'inquinamento luminoso; quindi perché spendere tempo e risorse sapendo che il risultato non sarà mai all'altezza di una foto ripresa da un cielo di montagna?

I motivi che mi spingono a farlo sono molteplici, ma tutti si basano su un fatto comune: per me l'astrofotografia è un hobby, dal quale cerco di trarre piacere e svago:

  • Fotografare da casa mi permette di aumentare in numero di notti produttive.
  • Le tecniche di elaborazione messe a punto per i cieli inquinati possono tornare utili anche sui cieli migliori.
  • Mi piace portare al limite la mia strumentazione e dimostrare che, anche sotto cieli appena sufficienti, è possibile ottenere immagini piacevoli e soddisfacenti degli oggetti celesti.

 La scelta del soggetto di ripresa è stata quasi obbligata: il Catalogo Messier (https://it.wikipedia.org/wiki/Catalogo_di_Messier) è il primo catalogo di oggetti celesti del profondo cielo che ogni astrofilo impara a conoscere: sono una manciata oggetti relativamente luminosi che dovrebbero essere accessibili anche da cieli inquinati di città.

Il catalogo, redatto dal cacciatore di comete francese Charles Messier e pubblicato per la prima volta nel 1774, è un'eterogenea collezione di oggetti celesti del profondo cielo che l'astronomo ha catalogato e registrato, al fine di non confonderli con possibili comete durante le sue ricerche; non a caso la maggior parte degli oggetti Messier sono galassie (40 su 110) seguite dagli ammassi globulari (29 su 110 ) gli oggetti che, al telescopio, più assomigliano alle comete quando vengono scoperte (dei batuffolini di luce privi di coda).

Nasce così il progetto Messier at Home, abbreviato in M@H

 

Le caratteristiche peculiari della fotografia astronomica dai cieli cittadini

Ciò che distingue la fotografia astronomica cittadina è la presenza, continua ed invasiva, di sorgenti di luce artificiale che illuminano il cielo notturno, si parla in questo caso di inquinamento luminoso (per ulteriori informazioni sui problemi legati a questo fenomeno, che vanno ben oltre la fotografia astronomica, invito chi legge ad andare su Cielo Buio).

L'inquinamento luminoso è un problema generalizzato: la luce si diffonde nell'atmosfera per centinaia di km dal punto di origine e ricopre come una bolla luminosa interi territori, cancellando le stelle dalla vista, quindi non è possibile risolvere il problema spostandosi 

Come si può vedere dalle mappe di inquinamento luminoso (si veda https://www.lightpollutionmap.info/) l'Italia è, purtroppo, uno dei paesi col peggior inquinamento luminoso al mondo, e la Lombardia è certamente il peggior luogo in Italia.

 

Europa

La mappa dell'inquinamento luminoso in Europa.

 

Italia

La mappa dell'inquinamento luminoso in Italia.

 

La presenza dell'inquinamento luminoso ha tre importanti effetti effetti sulle riprese:

  • La luce in eccesso va rapidamente a saturare il sensore, quindi è necessario abbreviare i tempi di posa dei singoli scatti rispetto alle riprese effettuate sotto un cielo buio.
  • La luminosità del cielo non è uniforme, vicino all'orizzonte il cielo è molto più luminoso rispetto allo zenith, questo produce un'illuminazione disomogenea del fotogramma che produce gradienti di luminosità difficili da gestire
  • L'aumento di luminosità del fondo cielo comporta un aumento del rumore nei singoli scatti.

Il terzo punto è quello sicuramente più critico ed è bene approfondirlo leggermente.

Un sensore per le immagini è, di fatto, uno strumento di misura della luce: ciò che interessa al fotografo è registrare il segnale prodotto dalla luce proveniente dagli oggetti celesti.

Purtroppo ad ogni segnale registrato da uno strumento è associata sempre una certa quota di rumore: una variazione casuale ed imprevedibile del segnale misurato.

Il rumore si appare come una granulazione dell'immagine quando viene osservata ad alto ingrandimento.

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 Dettaglio di uno scatto sulle Pleiadi dove risulta evidente in rumore elettronico: unica posa da 120 secondi con filtro blu

 

La trattazione approfondita del rumore nelle riprese astronomiche va ben oltre gli scopi di questo articolo, basti sapere però che le fonti di rumore in un immagine sono principalmente tre:

  • Readout noise: il rumore legato alla semplice azione di leggere i dati dal sensore, è un valore costante caratteristico del sensore.
  • Dark noise: Il rumore legato alla corrente di buio generata dagli elettroni prodotti per agitazione termica, aumenta all'aumentare del tempo di posa e della temperatura del sensore.
  • Shot Noise: Il rumore legato alla natura quantistica della radiazione, aumenta all'aumentare della luce registrata.

La qualità dell'immagine si misura grazie al rapporto tra il segnale utile e il rumore complessivo dell'immagine (indicato con S/N) più è alto S/N e migliore è l'immagine.

Il Readout noise e il Dark noise possono essere efficacemente ridotti grazie all'avanzamento della tecnologia, per esempio progettando sensori a bassissimo rumore di lettura, come i CMOS, oppure raffreddando la camera; invece lo shot noise dipende dalla natura fisica della luce e non c'è modo di eliminarlo.

Lo shot noise è associato a qualsiasi fonte luminosa che colpisce il sensore, ecco quindi che l'effetto più dannoso dell'inquinamento luminoso è proprio quello di aumentare notevolmente il rumore associato ai singoli scatti; infatti la maggiore luminosità del fondo cielo va ad aumentare il rumore N, mentre il segnale utile S, proveniente dall'oggetto fotografato, non cambia e quindi S/N diminuisce e la qualità dell'immagine peggiora. 

Come si vedrà meglio più avanti, l'unico modo per ridurre lo shot noise è aumentando il tempo totale di integrazione delle immagini, per esempio mediando, grazie ad appositi software, numerosi scatti del soggetto come si può vedere dall'immagine seguente.

 

 Le tecniche per mitigare gli effetti dell'inquinamento luminoso

Gli effetti dell'inquinamento luminoso possono essere mitigati combinando modifiche sia alla tecnica fotografica che tramite applicazioni software in fase di postproduzione.

In tutti questi casi è importantissimo avere la possibilità di contare su PC potenti e veloci perché si dovrà avere a che fare con  grandi moli di dati; è in quest'ambito che si inserisce la preziosa collaborazione con MSI Italy (MSI Italy website).

In qualità di MSI Ambassador ho avuto la possibilità di provare uno dei prodotti della linea  Creator P100 MSI che offre CPU veloci multiprocessore e, soprattutto, grande spazio di archiviazione ad accesso velocissimo.

Il P100 si è dimostrato una macchina veloce ed affidabile, anche quando sottoposta ad un carico di lavoro notevole da parte di PixInsight durante le fasi di pre-processing delle centinaia di immagini derivanti da un progetto fotografico.

Vediamo ora, nel dettagli, le tecniche utilizzabili per mitigare gli effetti dell'inquinamento luminoso, a partire dalla fase di ripresa fino all'elaborazione finale.

 

La scelta del tempo di posa

Come è stato accennato sopra, l'effetto più deleterio dell'inquinamento luminoso è quello di ridurre drasticamente il rapporto segnale-rumore degli scatti a causa dello shot noise che diventa dominante rispetto alle altre fonti di rumore.

Una caratteristica interessante del shot noise è che, mentre il segnale cresce linearmente con il tempo di posa  il rumore cresce secondo la radice quadrata del tempo di posa e quindi molto più lentamente: ad esempio quadruplicando il tempo di posa il segnale complessivo aumenterà di quattro volte, mentre il rumore raddoppierà solamente migliorando così S/N.

Purtroppo però, proprio a causa dell'inquinamento luminoso, non è possibile allungare troppo il tempo di posa pena la saturazione del sensore ed ecco quindi il dilemma: per combattere l'inquinamento luminoso bisogna aumentare il tempo di posa, ma a causa dell'inquinamento luminoso devo ridurre il tempo di posa!

Si può uscire da questa impasse grazie al fatto che stiamo lavorando con immagini digitali che possono essere trattate sommatre tra di loro via software: infatti ciò che conta a livello di S/N non è il tempo di posa della singola immagine ma quello complessivo di tutta la serie:

L'unica differenza tra uno scatto singolo e suan serie è la quantità di readout noise contenuto: in uno scatto singolo ovviamente il sensore viene letto una sola volta, sommando tra loro numerosi scatti invece il readout noise si sommerà rendendo la somma perggiore, in termini di S/N rispetto ad uno scatto singolo di durata equivalente.

Però nelle immagini riprese da un cielo molto inquinato lo shot noise è di gran lunga la fonte di rumore dominante e quindi il readout noise è assolutamente trascurabile: in queste condizioni la differenza tra uno scatto singolo e uno integrato è minima.

 

 M45 1

 Il dettaglio delle Pleiadi: passando il puntatore del mouse apparirà l'immagine prodotta dalla media di 75 pose da 120 secondi

 

Quindi la scelta del tempo di posa nella fotografia dalla città è fondamentale: il tempo di posa deve essere sufficientemente lungo da rendere il readout noise trascurabile, ma abbastanza corto da evitare di avere un fondo cielo troppo luminoso con conseguente saturazione delle stelle e, in casi estremi, di alcuni dettagli dell'oggetto fotografato.

In questo caso ci viene in aiuto un interessante script di PixInsight: CalculateSkyLimiteExposure.

Questo script, analizzando un'immagine singola calibrata (è più che sufficiente sottrarre semplicemente il BIAS), sulla base dei parametri fisici del sensore (Bit di campionamento, gain, readout noise ed eventualmente dark current), calcola il tempo minimo di esposizione che rende trascurabile il readout noise e il dark noise (see si inserisce il valore di dark current) rispetto allo shot noise usando tre diversi modelli.

Purtroppo lo script contiene un poccolo bug, per cui il secondo valore calcolato indica il tempo assumendo un limite di tolleranza del 5% inspendentemente da quale valore si indica nell'apposito parametro.

 

 CalculateSkyLimitedExposure example

 Esempio di utilizzo dello scrpt CalculateSkyLimiteExposure

 

Sfortunatamente la documentazione originale che descrive la base teorica e i calcoli su cui basa lo script non è più disponibile in rete, però utilizzare lo script è molto semplice: si carica l'immagine calibrata e si crea una piccola preview su una regione di fondo cielo.

Si impostano i parametri del proprio CCD/CMOS, rilevabili dalla scheda tecnica del sensore o misurabili tramite lo script BasicCCDParameters, si indica la preview da utilizzare nel calcolo e si imposta il tempo di posa dell'immagine esaminata; istantaneamente lo script fornirà i tre valori del tempo di posa ideale.

Il tempo minimo di posa da utilizzare, per minimizzare gli effetti del readout noise, è il massimo tra i tre valori indicati; utilizzare un tempo molto più lungo di quello suggerito avrebbe pochissimi vantaggi in termini di miglioramento di S/N ma comporterebbe un aumento della luminosità complessiva dell'immagine con una potenziale perdita di dinamica.

Nell'esempio sopra quindi il tempo consigliato era di 2 minuti e 33 secondi, quindi ho quindi deciso di utilizzare esposizioni da 3 minuti.

Da notare che tale principio non vale solo per la fotografia astronomica da cieli inquinati, lo si può utilizzare anche da cieli bui per determinare quale sia il tempo di posa ideale, ma nel caso dell'inquinamento luminoso diventa ancor più importante.

Se esiste una regola precisa per la determinazione del tempo di posa del singolo scatto, purtroppo non si può dire altrimenti per la determinazione del tempo di posa totale.

Il divario tra un cielo buio ed uno inquinato dipende fortemente dalla luminosità del soggetto fotografato; se su un soggetto luminoso può essere sufficiente allungare il tempo di posa di 3 o 4 volte, su soggetti deboli il divario può diventare praticamente incolmabile.

Teoricamente, allungando opportunamente il tempo di posa totale, dalla città si potrebbero ottenere esattamente gli stessi risultati che si ottengono dalla montagna, però i tempi totale di posa da utilizzare diventano rapidamente impraticabili man mano che il soggetto diventa via più debole.

Se, per ottenere un risultato paragonabile a quello che si otterrebbe in una notte sotto un cielo buio, devo investire venti notti sotto il cielo cittadino allora il gioco non vale più la candela e il vantaggio di avere più notti a disposizione si azzera completamente; ecco il motivo principale per cui, in questo progetto, ho deciso di puntare sul catalogo Messier.

A questo punto l'unica linea guida è: Integrare il più possibile in modo da ottenere l'immagine più "profonda" possibile compatibilmente con la propria pazienza.

Come si vede la regola è estremamente soggettiva, ma la fotografia astronomica moderna è fatta di pose lunghissime che mettono in luce dettagli impensabili fino a pochi anni fa, la fotografia astronomica dalla città non deve essere da meno, pur con tutti i suoi limiti.

Non saranno quindi inusuali tempi di posa complessivi di 15 ore o più. 

Filtri 

L'inquinamento luminoso deriva, principalmente, dall'illuminazione stradale pubblica, fino a qualche anno fa tale illuminazione era basata su lampade che emettevano luce sono in alcune zone limitate dello spettro elettromagnetico: le più diffuse erano le lampade al mercurio e quelle al sodio.

Negli anni passati quindi si erano diffuse diverse tipologie di filtri per contrastare l'inquinamento luminoso; tali filtri bloccavano selettivamente le lunghezze d'onda tipiche delle lampade stradali risultando molto efficaci nel ridurne il disturbo.

Purtroppo negli ultimi anni si è molto diffusa la tecnologia LED, sia per l'illuminazione pubblica che per quella privata; i LED hanno, a differenza delle lampade a gas, uno spettro di emissione praticamente continuo e, di fatto, impossibile da filtrare, i filtri anti inquinamento luminoso quindi stanno via via perdendo di efficacia.

Per questa ragione personalmente non utilizzo filtri anti inquinamento luminoso.

Diverso il discorso che riguarda i filtri in banda stretta: questi filtri sono progettati in modo da selezionare una strettissima regione di spettro intorno alle righe di emissione dei alcuni oggetti astronomici escludendo tuto il resto della luce: tipicamente la riga alfa della serie di Balmer dell'idrogeno, il doppietto di righe della transizione priobita dell'idrogeno due volte ionizzato (OIII) e la riga di emissione dello zolfo ionizzato (SII).

Sebbene non sia il loro scopo primario, questi filtri sono estremamente efficaci nell'abbattere l'inquinamento luminoso e permettono di fare riprese molto profonde anche dai cieli cittadini.

Purtroppo non tutti gli oggetti celesti sono adatti alla ripresa con questa tecnica: tutti gli oggetti che hanno uno spettro di emissione continuo, come galassie, ammassi aperti e globulari, nebulose a riflessione, non traggono alcun beneficio da questa tecnica che resta limitata alle nebulose ad emissione (regioni HII, nebulose planetarie e resti di supernova).

Un discorso a parte va fatto sulle galassie a spirale: sebbene questi oggetti emettano prevalentemente con uno spettro continuo, spesso hanno ampie regioni HII che possono trarre beneficio dall'utilizzo dei filtri H-alfa per evidenziare le zone di formazione stellare.

In questi casi si usa una tecnica ibrida che permette di fondere le immagini H-alfa con normali immagini a colori ( si veda, per esempio il mio tutorial Accentuare le regioni HII nelle galassie a spirale o il video su YouTube Integrare l'emissione Halfa nelle immagini astronomiche: due tecniche basate su PixInsight ).

Recentemente i produttori, hanno cominciato a produrre filtri a banda stretta multibanda che permettono di catturare contemporaneamente più bande spettrali in un colpo solo senza perdere l'efficacia di un filtro a banda stretta tradizionale. questi filtri sono estremamente interessanti, soprattutto per chi si dedica alla fotografia con camere a colori.

 

 Le tecniche di pre-processing

Dopo la fase di acquisizione dei dati viene il momento del pre-processing: calibrazione ed integrazione dei numerosissimi scatti singoli che compongono la sessione: ad esempio una sessione con una posa complessiva di 5 ore (non moltissime se si considera quanto detto sopra) con scatti singoli da tre minuti ciascuno conterrà 100 scatti, per chi fotografa con camere in bianco e nero la sequenza dovrà essere ripetuta per ciascun filtro R, G ,B ed eventualmente H-alfa e OIII.

Quindi una sessione tipica può contenere oltre 500 immagini alle quali si aggiungono i file di calibrazione: bias, dark, flat, dark dei flat; non è escluso, quindi, che si debbano trattare quasi un migliaio di immagini per ogni oggetto fotografato.

Ecco che diventa chiaro come il PC da utilizzare non sia un semplice "accessorio" della filiera di creazione del contenuto, diventa un elemento portante.

Il PC della linea Creator P100 che mi è stato affidato da MSI Italy ha un disco SSD da 1 TB che grazie alla velocità di scrittura e lettura permette di migliorare notevolmente le prestazioni di PixInsight in fase di pre-processing, la CPU con 8 processori e 16 thread gestiti in parallelo da PixInsight, permette di velocizzare le operazioni di calibrazione e somma selle immagini riducendo sensibilmente i tempi di elaborazione.

Dal punto di vista del pre-processing in PixInsight sarà utile utilizzare strumenti che permettono di gestire al meglio immagini affette da forti gradienti di luminosità:

Dopo la fase di allineamento strumenti come LocalNormalization o impostazioni di integrazione come l'Adaptive normalization possono aiutare a rendere i gradienti più semplici e quindi più facilmente gestibili.

In questo ambito si inserisce anche uno script molto interessante: NormalizeScaleGradient che permette in un colpo solo di semplificare i gradienti, normalizzare le immagini e assegnar loro un peso sulla base della qualità.

L'obiettivo comune di questi strumenti, studiati specificatamente per situazioni difficili, non è quello di eliminare i gradienti da inquinamento luminoso ma, come accennato sopra, di renderli più semplici e quindi molto più facili da gestire in post processing.

 

 La fase iniziale di post processing.

 Terminata la fase di pre-processing si passa all'elaborazione vera e propria dell'immagine: Uno dei primi passi da eseguire è certamente quello che riguarda la riduzione del gradiente.

PixInsight offre due strumenti specifici per la riduzione dei gradienti: AutomaticBackgroundExtractor (ABE) e DynamicBackgroundExtraction (DBE).

 ABE è un ottimo strumento per gestire gradienti molto semplici, per esempio per riprese a campo stretto con lunghe focali dove il gradiente di solito non ha "bolle" o "buchi" localizzati.

DBE  invece, se ben utilizzato, è in grado di risolvere anche situazioni molto complesse: se si sono utilizzati correttamente gli strumenti di pre-processing la rimozione del gradiente non dovrebbe essere troppo impegnativa, a patto di avere dei buoni punti si riferimento sull'immagine.

DBE, infatti, utilizza dei punti di campionamento (Sample points) posizionati sul fondo cielo, per calcolare un modello matematico del gradiente e sottrarlo all'immagine; la regola generale dice che è meglio mettere pochi punti nelle posizioni giuste che tanti punti molto vicini che possono creare "perturbazioni" nel modello che si riflettono inevitabilmente nella produzione di artefatti.

Una regola importantissima è non piazzare mai i samples vicino agli oggetti per non incorrere nel cosiddetto effetto ciambella, una sovra-correzione del gradiente che produce un alone scuro intorno agli oggetti.

Purtroppo in alcuni casi (oggetti estesi nei quali è difficile trovare punti di rifermento per DBE o gradienti molto complessi) non è possibile trovare un buon set di punti di campionamento e quindi la riduzione del gradiente diventa virtualmente impossibile.

In questi casi può diventare fondamentale una tecnica suggerita da Vicent Peris sul sito ufficiale di PixInsight (Multiscale Gradient Correction) e presentata durante una webinar tenuto sul mio canale YouTube (Rimozione dei gradienti in PixInsight - metodo multiscala di Vicent Peris Baixauli).

In breve, questo metodo utilizza un'immagine dell'oggetto ripresa con un'ottica a focale più corta, rispetto al telescopio principale, per costruire un modello del gradiente da sottrarre all'immagine principale: l'immagine di correzione può essere ripresa insieme all'immagine principale (per esempio mettendo un teleobiettivo in parallelo al telescopio principale)  oppure può essere ripresa separatamente, magari sotto un cielo migliore.

Grazie a questa tecnica è possibile correggere gradienti anche estremamente complessi o su immagini dove non sia possibile trovare un gruppo di punti di campionamento adatto.

Lo svantaggio è che si dovrà riprendere un doppio set di immagini e quindi il lavoro di elaborazione verrà raddoppiato.

Altra operazione estremamente importante è la riduzione del rumore: infatti, nonostante si facciano pose lunghe e si vadano a sommare numerose immagini, una certa quota di rumore rimane sempre.

Per questo PixInsight offre numerosi strumenti dedicati a questo scopo: la riduzione del rumore può essere eseguite in diversi momenti durante la fase di elaborazione dell'immagine e costituisce una parte fondamentale per produrre immagini piacevoli.

Per approfondire l'argomento si veda, per esempio, il video Denoising techniques as a building block of a composite image sul mio sito web oppure la tecnica suggerita da Jon Rista sul suo sito web (PixInsights Tips: Effective Noise Reduction).

Dopo questa prima fase, l'elaborazione delle immagini procede come di consueto e quindi si ricade nelle tecniche di elaborazione della fotografia astronomica tradizionale.

 

Le prime prove

Quindi chi si dedicherà a quest sfida che cosa si deve aspettare?

Ecco le prime prove ottenute da casa alle porte di Brescia, compresi un paio di test su M99 e M101, quando il progetto era ancora nella sua fase embrionale: i link puntano alle relative immagini nulla mia galleria Astrobin, dove si potranno leggere tutti i dati tecnici di ciascuna immagine.

il cielo ha un SQM medio intorno a 18.7 che lo piazza ad un livello di qualità intorno al Bortle 7 (https://it.wikipedia.org/wiki/Scala_del_cielo_buio_di_Bortle)

A breve creerò una pagina dedicata al progetto, in cui raccoglierò tutte le immagini che, nel corso dei prossimi mesi ed anni, raccoglierò, intanto è possibile vederle raccolte nella galleria Astrobin https://www.astrobin.com/users/astroedo/collections/6341/

 

 M45

M51

 M57

     

 M99

 M101

 M34

 

 

 

 

 

 

 

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